Il corpo è tema di molta produzione artistica contemporanea, in grado di coinvolgere sia la ricerca scultorea che pittorica. Il corpo è materia urgente: convince generazioni e tipologie diverse di sensibilità a produrre un’incessante categoria di simboli, segni e scritture intorno a e su di esso. Il corpo è osservato al di là della sua superficie e in quel di là lo si osserva come accumulo di azioni più o meno automatiche da interpretare. Corpo come vero e proprio testo da leggere.
Nonostante i numerosi studi condotti a partire da punti di vista specifici e diversi, oggi possiamo permetterci di pensare al corpo come un insieme provvisorio di forme che cambiano. Forme e metafore come quelle di un discorso: alte, basse, retoriche o appassionate. Corpo manipolato dal mio recepire, esposto o a me totalmente nascosto. Il corpo delimita gli spazi e i confini del sentire se stessi e di ciò che c’è intorno e per Matteo Benetazzo è supporto mentale per segni, pittura, grafiche e scritture, che delimitano le emozioni.
In questa sua recente produzione che porta il titolo “Sono dove sono ora” il corpo è inizio e punto d’arrivo.
Supporto della percezione e certezza di un sentire che si fa modalità per la rappresentazione, il suo corpo si presenta sia come denso accavallarsi di muscoli, vene, linfa e ossa che come paesaggio. A ben vedere, l’artista sembra riflettere sul concetto di paesaggio a partire da una dimensione vicinissima e corporea in una prospettiva che potrebbe dirsi antropologica. Colline, verde natura e alberi prima ancora di essere elementi del paesaggio sono metafore e la loro finalità non sta nell’essere villaggio, terra abitata o luogo da rispettare, ma sintesi di sangue e pelle e compendio di una parte interna del corpo umano ancora tutta da esplorare. Ciò significa che per Benetazzo pensare al paesaggio in quanto territorio di una comunità, spazio del vissuto e momento di relazioni vuol dire cercare in esso la direzione delle vene e delle arterie nel sistema circolatorio mentre l’apertura del sistema linfatico diventa stimolo alle riflessioni sulle necessarie misure di difesa del verde e del paesaggio che circonda le sue amate vallate toscane. Per l’artista che ha scelto di vivere e far crescere suo figlio nelle colline aretine che in Valdambra diventano crete senesi significa riconoscere che la lezione ecologica, entrata nel linguaggio comune e apparentemente intellegibile, è in realtà molto ambigua e sfuggente e che la comprensione dell’ambiente – così come la conoscenza del nostro stesso corpo -, non è mai asettica e oggettiva ma sempre interrelazionale.
E non è un caso che anche per lo sguardo scientifico le verità sul corpo non siano mai ferme, sfuggono a qualsiasi determinazione definitiva: non c’è un corpo dato una volta per tutte, il corpo è entità mutabile, non essenza, materia instabile con una forte vocazione al cambiamento. Per l’antropologo, il corpo è materia organizzata da una forma in-formata, costruita con i mattoni della cultura, dell’immaginario individuale e collettivo. Dall’altra parte anche la conoscenza del proprio ambiente non si può improvvisare, ciò che sappiamo del luogo in cui viviamo si forma anche attraverso il contributo di esperienza di generazioni di abitatori che viene a costituire così un deposito, un tesoro di conoscenze e di abitudini da tramandare. Una tradizione appunto che Benetazzo non aretino, sente il bisogno di conservare e tutelare stimolato dall’antropologa suggestione lacecliana di tornare a perdersi nel paesaggio. Perdersi infatti significa essere impossibilitati a imporre l’ordine del nostro insediamento interiore e concettualizzato al generale ordine delle cose e del cosmo.
La visione di questo suo uomo dotato di corpo “ecologico” sembra ipotizzare una generazione che vede se stesso come natura e gestisce con criterio gli equilibri ambientali. Un corpo a cui la crisi del pianeta serve per rilanciare l’uomo demiurgo padrone in grado di affermare che il futuro è bioregionale, legato alla identità e alle vocazioni che nascono dall’interazione tra popolazioni e il loro territorio.
Questa potrebbe ancora essere l’ipotesi ambientalista da sviluppare.
Matteo Benetazzo, “SONO DOVE SONO ORA”
a cura di Matilde Puleo
Arezzo, Casa dell’Energia
25 novembre – 09 dicembre 2017
Inaugurazione: sabato 25 novembre, ore 18
Orari di apertura: da Lunedì a Venerdì dalle ore 15.00 alle ore 19.0- sabato dalle 16 alle 20
Ingresso libero.
“corpo opaco”
La rappresentazione del corpo, costruita dall’occhio che osserva, che ci osserva, ha sempre una qualità mentale. Non è mera riproduzione della sua morfologia, è una rappresentazione informata da peculiari modalità di percepire e osservare il mondo, di abitare il corpo. L’artista si guarda con occhio attento e parla di diversi sé contemporanei e simultanei: chiari, oscuri, densi o fluidi, animali o impuri. Quando siamo semplicemente impegnati a respirare ne abbiamo già una rappresentazione mentale più ampia, dettagliata, approfondita e tuttavia ancora superficiale. È una differenza alimentata e prodotta nel gioco relazionale tra il sé e l’altro e si comporta come corpo opaco denso di materia pronto a farsi attraversare dai nostri sguardi. Il corpo è puro sensibile vestito di immaginazione.
“ora trasparente”
Leggere il corpo è sempre una scommessa. Spesso sfida la nostra capacità di leggere e interpretare ed è per questo che s’impone come attività abituale che ha bisogno di tempo. Le rappresentazioni di questo specifico corpo sono una produzione realizzata nella simultaneità della percezione del corpo a partire dal corpo. Stiamo parlando di una questione che impone anche una sfida politica, sociale e discorsiva.
Il gesto e la parola sono una tecnica del corpo e il corpo è uno strumento che usa tecniche e saperi dall’esperienza comune e condivisa, impara a posizionarsi sulla scena sociale e sulla ribalta della vita quotidiana. In profondità tuttavia c’è dell’altro e questo universo ha la medesima necessità di essere letto e interpretato.
“sono qui”
Essere esattamente lì dove si trova il corpo. Il suggerimento dell’artista per contrastare l’abitudine affermata soprattutto in Occidente di imporre un’unica e valida concezione della conoscenza. Un’unica e indiscutibile concezione e modalità dell’abitare, non più locale bensì oggettiva, cioè non cosciente dei suoi bisogni, che nega i molteplici centri del mondo. Un’unica possibilità di vita che oltretutto si pretende valida in qualsiasi luogo, a qualsiasi latitudine. La pittura di Benetazzo, i “suoi paesaggi”, la sua famiglia e il suo ambiente sono l’omaggio al differente e al diverso. Il particolare, il personale, ciò che è segreto per mettere a tacere tutto ciò che deve essere uguale, omogeneo, generale.
“ora è ora”
I suoi paesaggi sono da leggere come una mappa non più geografica quanto disegno topografico del tempo. Realizzati nel plan air della Valdambra queste carte oltre a registrare l’ora ci assicurano che non può esservi separazione fra se stessi ed il proprio spazio vitale e che il luogo nel quale viviamo non potrà essere solamente un’attività di progettazione architettonica o di recupero di zone di archeologia industriale, ma luogo concettualizzato, sentito a partire da un corpo capace di incardinare la nostra intera vita al cosmo. Non si cercherà di assumere un punto di vista esterno e imparziale, fingendo estraneità per poi tentare di gettarvi sopra una rete di coordinate oggettive. L’artista ci suggerisce di costruire il paesaggio a partire dall’interno, orientandolo a cominciare dal suo centro e dalle direzioni che da questo scaturiranno.
Matilde Puleo