niente/Cristina Pancini

Giugno 21, 2017

NIENTE, senza alcuna possibilità di deroga, chiede ad un gruppo di artisti di realizzare opere dalle dimensioni variabili di tonalità nero su nero da appendere o collocare nel consueto spazio di un metro cubo.

Tutte le opere che si susseguiranno, piccoli corpi scuri su di un nero nulla in differenziabile, porteranno il medesimo titolo, saggio delle capacità di risposta alle sollecitazioni offerti dal centro d’arte contemporanea. L’idea è di non avere “niente da regalare al mondo” nell’ambito di un programma espositivo etereo ma presente. Operazione di esplicita protesta, l’opera in nero prova a riflettere sulla collocazione mentale dell’opera d’arte nell’epoca dell’indifferenza.

Dà avvio al progetto un innesto subumano  collocato nell’atmosfera intrigante, fosca e perfino equivoca della festa. Un umor nero, di nera devianza, di incubo e curiosità affiorante da quel senso inquietante che scaturisce dalla consapevolezza di vedere fratturata la ragionevolezza dei nostri costumi, delle nostre scelte e dei nostri stessi abiti. Il niente rimasto ad una donna-insetto dopo la festa.

PRESENTAZIONE

Quella della recente produzione artistica di Cristina Pancini è un’area di ricerca che, a partire da una maggiore consapevolezza delle possibilità espressive del disegno, mostra di  avere un più controllato rapporto con la propria crescita spirituale e con l’approfondimento di alcune tematiche relative al corpo umano. Ciò che appare ad una prima occhiata è la delicata analisi del rapporto fra ideale e reale, fra pensiero e sentimento, che sembra attuato non senza conflitto, posto com’è  fra le fosche linee di demarcazione che separano il regno oscuro di un male avvertito all’interno della nostra società,  con l’enfasi necessaria  per l’incalzare del regno del giorno. I seducenti richiami del nulla incomprensibile e anfibio da contrapporre alla linearità frenata del pensiero umano. Ad incitare dunque, tale esigenza compaiono i pungoli delle trasformazioni genetiche di una donna ibridata ad un insetto. Un innesto subumano  collocato nell’atmosfera intrigante, fosca e perfino equivoca della festa. Nel perseguire questi motivi l’artista non cerca il valore nella qualità o nella raffinatezza dell’esecuzione, peraltro assai evidente, ma nella funzionalità espressiva, nel potere di infiltrazione di questa pittura verso l’intelletto. Una funzionalità che si direbbe genetica capacità di  modellarsi alle suggestioni del profondo, facendo sfoggio di nuovi mezzi di espressione che superano il bisogno pittoresco di rispecchiare la realtà visibile. Una pittura che rivede il passato pur riferendosi a modelli culturali diversi e affronta tematiche antiche come la paura di crescere o di rimanere emarginati, del variare delle circostanze e di perdere la propria posizione. Un umor nero, di nera devianza, di incubo e curiosità affiorante da quel senso inquietante che scaturisce dalla consapevolezza di vedere fratturata la ragionevolezza dei nostri costumi, delle nostre scelte, dei nostri  abiti. Rivela una tendenza autobiografica che è poi una particolare attitudine a cogliere la realtà intima dietro le parvenze del quotidiano e far tendere sino al limite estremo le possibilità espressive di una umanità perduta e irrecuperabile. Incanalare nel rovello dello stile gli oscuri allargamenti dell’ignoranza più bieca.

Matilde Puleo

03 -31 OTTOBRE 2009

MEGA+MEGA – centro d’arte contemporanea

Via Cesalpino 2, Arezzo

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