umano/sovrumano

Giugno 22, 2017

Viviamo un mondo che è un enorme collage. Un bazar di diversità, in cui vivere la differenza è complicato. Lo spirito di compartecipazione delle tecnologie informatiche che unisce luoghi distanti si fonda in modo sorprendente sulla tendenza dell’uomo a prendere le distanze dalla realtà in cui vive, mediandola, per poterla comprendere e dominare; a eliminare i contorni sfumati, per costruire informazioni. Gli usi della diversità culturale, non si situano in un percorso che ricolloca noi in rapporto agli altri al fine di difendere la necessaria complessità del gruppo; piuttosto, essi vivono in un territorio di categorie stabili, definiti una volta per tutte. Questo terreno è scabroso e pieno di buche inaspettate. Attraversarlo o tentare di farlo, non vuol dire livellarlo, trasformandolo in una liscia, sicura e ininterrotta pianura; al contrario se ne portano semplicemente alla luce le discontinuità e i contorni. Questo è l’obiettivo di CONTRASTED e della prima antinomia dal titolo UMANO/SOVRUMANO. La filosofia delle religioni sostiene che un’arte sacra non abbia più ragione d’essere. Quel sentimento irrazionale di terrore e allo stesso tempo di fascinazione, in cui s’esprime la relazione dell’uomo col Dio, che è all’origine del sacro, ha perso il suo “mysterium tremendum”. Tuttavia l’arte stessa – ci dice Sandra Stocchi – è incarnazione di un sacro quotidiano, una pratica dell’arte che sa assumere in se la ritualità del vivere nel sacro. I segni di questo suo contributo sono assai riconoscibili: primo su tutti la tensione verso un recupero della memoria personale che ne motiva gran parte della ricerca. Desiderio irrefrenabile di rintracciare le radici dell’essere donna ceramista e viaggiatrice. Il Raku e con esso il messaggio della filosofia Zen – visceralmente vissuto da Sandra – è quello del «qui e ora». Vivere al solo scopo di assegnare importanza ad ogni gesto della vita, inglobando anche i capricci del caso, è il suo imperativo. Ne nascono terrecotte come contenitori che raccolgono nelle loro forme intessute di religiosità, elementi che riproducono le fattezze di alcune divinità (Garuda o Krisna), frammiste al mondo delle eccellenze femminee o sensuali.   In questa luce, la manipolazione e costruzione della carta è la ricomposizione di una ibridazione di generi, che ricorda proprio il carattere rituale e sacro del fare. Carta come oggetto che si fa esigenza di una archiviazione del mondo a favore di un’identità robusta che sente come propria l’imprescindibile esperienza spirituale insita nella pratica artistica. Pratica che spesso assume anche valore politico intesa come esigenza primaria da proteggere, alimentare e far germogliare in opere nuove.

Se il sacro si rivela nella natura e nella storia dei luoghi, esso è anche dentro ognuno di noi e il rapporto non può che tradursi in un flusso continuo di intime corrispondenze. Sacro come qualcosa di distante, appartenente a un tempo mitico, le cui tracce possono essere ritrovate da coloro che sanno trasformarsi in medium di esperienza. Medium di una nuova visione del mondo che consiste nel saper vedere dentro le cose, ma anche al di là di esse. Con Paolo Maione siamo all’interno di un cosciente e rispettoso approccio con la tradizione, con il fare pratica di ceramiche policrome, di fusioni in bronzo e di legni, avvalendosi di un racconto che è fiaba contadina, carnevale e maschera della Commedia dell’Arte. L’ispirazione allegorica gioca sul registro del comico e del canzonatorio con esiti di graffiante istrionismo. Quando la sicurezza, diviene anche il luogo dell’angoscia inesplicabile compare il perturbante, così familiare alla vita psichica. A fronteggiare ciò che eccita e impaurisce, c’è un solo modo: il riso o la frenesia della battuta di spirito.

Il processo desacralizzazione che coinvolge magia, religione e misticismo notturno, è determinato da una forte spinta dell’artista a sacralizzare tutto il resto. Ciò che rimane al di fuori delle categorie assegnate, visibili invece, nelle tradizioni orali e nei racconti contadini, diventa fulcro essenziale del lavoro di Maione. Acrobazie di un manipolatore di “cunti” barocchi, le sue opere sono l’espressione tangibile di un’immagine lambiccata e lucida che mischia sapientemente il sublime col popolare. Tuttavia, il riso della blasfemia aleggia sovrano solo ad una primissima occhiata, in seguito ci cattura la natura tentacolare e perfino aracnoidea del suo percorso di ricercatore di verità.  Il comico, ci assicura l’artista, capace com’è di umorismo, può passare ad occuparsi del sublime, nella sua declinazione più moderna. È bene ricordare infatti che dal sublime al ridicolo non c’è che un passo. Tra  le macerie contemporanee dunque, Paolo Maione trova la strada per inventare ancora una volta il nostro intrattenimento.  La cui proprietà più segreta è la varietà ma anche la ripetizione di soggetti che ammiccano tra reale e irreale.   Il ciuco è dunque del sacro, lo scacco garantito. L’inquieto complice e connivente che sorregge l’artista nelle sue scorribande tra realismo e fantastico surrealismo, senza dimenticare Apuleio. Illuminazione e santità sono quindi un sogno di grazia, dove anche un ciuco è pronto a trasformarsi in Papa per le risate di un artista, che assomiglia un po’ ad Ubu e molto a Pulcinella.

 

 

Tentativo di soluzione

 

Un osservatore di idee che ruotano intorno ad un nucleo tematico così forte, sa che è sempre possibile avere a che fare con incidenti che arrestano o sconvolgono le nostre impostazioni di vita. Gli sciamani sostengono che simili momenti chiedano all’individuo di imparare a “fermare il mondo”, al fine di smettere di percepire le cose mediante i vecchi schemi, consentendo nuove forme di coscienza. Quando ciò avviene, il mondo perde la validità che aveva prima con tutti gli schemi di credenze connesse, creando così l’inevitabile disorientamento. Questo primo contrasto tra la forza degli antichi dei e quella del filosofo che dichiarò Dio morto, si colloca in questo crinale, esortandoci, come individui, al confronto con l’inarrestabile flusso della natura e col variare delle nostre esistenze giorno dopo giorno.

Matilde Puleo

 

Paolo Maione, nasce a S. Giovanni d’Asso nel 1965. Vive e lavora a Figline Valdarno.

Mostre personali recenti: 2007 – Maioniche, galleria Carini & Donatini, S. Giovanni Valdarno, a cura di Luca Beatrice e Gianluca Marziani; Apostasia, One piece Contemporary art, Roma. Mostre collettive recenti: 2009 – Un secolo e 4 – premio Fabbri, a cura di Marina Mojana, Villa delle rose, Bologna; 2005 Contemporary ceramic art, Castello Sforzesco, Modena; 2004 – Sculture, galleria Sperone-west water, New York.

 

 

Sandra Stocchi è nata ad Arezzo nel 1961. Dopo aver conseguito il diploma di Liceo Artistico a Firenze, si laurea all’Accademia di Belle Arti. Insegna Discipline Pittoriche all’Istituto Statale d’Arte di Sansepolcro e si dedica prima alla pittura su legno a rilievo e successivamente alla scultura in legno e piombo. Dal 1986 realizza le sue opere tridimensionali in ceramica Raku. Le sue opere sono presenti nelle pubblicazioni: Quaderni: Incisioni, Un pittore legge Poe ed. Accademia, Firenze, 1982; Adriana Seri, Madakai – poesie, ed. l’Autore Libri, Firenze, 1999; Donatella Caneschi, Maree – poesie, ed. Ibiskos, Firenze, 2005; Donne dell’Arte in Toscana di Fabrizio Borghini e Filippo Lotti, Centro Toscano Edizioni, 2009.  Nel 1999 è ideatrice dell’Associazione Culturale “Il Romito” ad Arezzo (attività eco-compatibili per la persona e l’ambiente) della quale organizza e promuove le attività fino al 2004.

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